Sarà la crisi, saranno i social network che ci hanno reso agenzie di comunicazione in costante esercizio, sarà che la pubblicità tradizionale fa sempre meno presa, saranno le ricadute della disintermediazione legate al web. Fatto sta che una nuova disciplina sta rapidamente inserendosi tra gli strumenti indispensabili di ogni ufficio marketing e comunicazione aziendale: il corporate Storytelling .
Le imprese grandi e piccole stanno misurando quanto possa far bene agli affari avere una comunicazione che inserisca la propria storia, i propri valori e ogni dettaglio della propria attività in un contesto narrativo efficace e coinvolgente. Il 14 ottobre storyteller e aziende si incontrano in un convegno all’Università Iulm a Milano per discutere e confrontare casi italiani e internazionali e per premiare i migliori esempi di narrazione d’impresa.
“Lo Storytelling non è il raccontare storie o aneddoti, ma la creazione di rappresentazioni (testuali, visive, sonore, percettive) che un brand, un prodotto o servizio, una persona possono realizzare per emozionare e relazionarsi meglio con un pubblico – spiega Andrea Fontana che insegna Storytelling e narrazione d’impresa all’Università di Pavia – Lo storytelling è la creazione di un universo narrativo da parte di un autore (marca, prodotto, o persona) che invita altri (clienti, consumatori, stakeholders) a partecipare a un destino”.
“Quando ho iniziato nel 2006 – continua Fontana – era considerato ‘esoterismo’, una disciplina di cui non si capivano bene le funzioni. Credo che l’anno di diffusione sia stato il 2009, perché da quel periodo in poi scoppiano i cosiddetti social media e la necessità di coinvolgere il pubblico in modo frequente e con contenuti di qualità”.
Il confine sottile e permeabile, infatti, tra comunicazione pubblicitaria e storytelling è legato alla disponibilità e sincerità del materiale narrativo. Anche una fucina di scrittori come la Scuola Holden di Torino ha attivato da qualche anno corsi di corporate storytelling.
“Le pubblicità usano lo storytelling per i loro obiettivi, mentre il corporate storytelling è una cosa un po’ più integrale, in cui si definisce lo storyworld dell’azienda e si lavora per fare in modo che la comunicazione esterna e interna siano una declinazione di quel mondo narrativo che è stato creato. Il vero valore aggiunto è che, quando si imposta bene lo storyworld, anche le voci fuori campo (cioè quelle dissidenti) non si posizionano come elementi esterni, ma come contro-narrazioni interne alle storie che si raccontano”, dicono Ludovica Piccardo e Mattia Garofalo, rispettivamente responsabile e docente dei corsi della Holden.
Far diventare l’attività di tutti i giorni una storia da raccontare, infatti, non ha ricadute solo sull’esterno e sui clienti, ma può essere un forte elemento di collante e di motivazione all’interno di aziende squassate dalla crisi.
“Allineare la comunicazione interna ed esterna a valori comuni – spiegano ancora i docenti della Scuola Holden – significa dare ai vari livelli gerarchici una comprensione maggiore del proprio ruolo e degli obiettivi aziendali e permette di incentivare la prontezza di reazione ai cambiamenti da parte dei dipendenti. Oggigiorno vediamo sempre di più una sorta di incomprensione e sfiducia nel futuro. Creando delle strutture di questo tipo lavoriamo proprio per ovviare a questi problemi”.
Ma una storia coerente e ben raccontata diventa anche un elemento distintivo sul mercato. E così Giovanni Rana, un precursore molto imitato, dopo aver messo il suo nome iniziò a mettere anche il suo volto nella comunicazione pubblicitaria e, da sempre, scegliere un prodotto Apple non significava solo comprare un computer ma pensarla diversamente dalla massa dei consumatori. E questo solo grazie alla narrazione che Steve Jobs aveva fatto della sua impresa fin dalle origini.
“Alcuni recenti casi degni di nota sono l’esperienza Connected life di Telecom Italia, la campagna Made of more di Guinness, il progetto Keep Moving di Blackberry”, aggiungono Piccardo e Garofalo. “Altro caso italiano interessante è l’ultima campagna di Wind, che raccontando il rapporto padre-figlio, consiglia in certi momenti della vita di non usare i device mobili. Oppure la campagna di AXA, ‘nati per proteggere’ dove i protagonisti sono clienti e liquidatori dell’assicurazione”, spiega Fontana.
Infine c’è l’eterno Mulino Bianco – forse il caso più eclatante di comunicazione pubblicitaria. “Un racconto che dura da anni e che ha saputo nel tempo creare un suo universo narrativo interno ed esterno all’azienda. Ricordiamoci che l’universo narrativo che si crea è prima di tutto un’identità, e l’identità (narrativa) aiuta le persone a dare senso al proprio lavoro o al prodotto che si consuma”, conclude il professor Fontana.
FONTE: REPUBBLICA .IT]]>